Questa è una storia in cui si deve entrare in punta dei piedi.
È la storia di Lucia Annibali, avvocato. È la storia di una donna bellissima – e coraggiosa. È la storia di un amore malato, uno di quegli amori come tanti di noi vivono od hanno vissuto. È la storia di un percorso di rinascita. Doloroso. La cronaca ci ha tragicamente assuefatti ad episodi di violenza sulle donne. Ogni giorno ci arrivano notizie di donne uccise, violentate, abusate fisicamente e psicologicamente. Donne di ogni età, ceto sociale, etnia. La storia di Lucia ha colpito in modo particolare l’opinione pubblica italiana per la sua efferatezza ma probabilmente anche perché avvenuta in un contesto socialmente non disagiato, borghese, ad opera di un professionista e con una vittima che incarna al meglio il prototipo della femminilità moderna: bella, intelligente, indipendente, anche lei professionista, con una famiglia serena e solida alle sue spalle. L’uomo di cui Lucia era stata innamorata, anche lui avvocato, si chiama Luca Varani: non accetta la volontà di Lucia di porre fine alla loro relazione, fatta di bugie, inganni, meschinità. La non accettazione da parte di lui si trasforma, poco alla volta, in una follia fatta di pedinamenti, minacce, incursioni nell’appartamento di Lucia e al tentativo si sabotaggio dell’impianto del gas. Fino al tragico epilogo finale.
La sera del 16 aprile 2013 due albanesi, ingaggiati da Varani, aspettano Lucia sul pianerottolo di casa sua a Pesaro e le lanciano addosso dell’acido. Da quella sera la vita di Lucia Annibali cambia per sempre e radicalmente. Inizia, da un lato, un percorso dolorosissimo di cure, un percorso che Lucia racconta con grande coraggio, senza alcuna auto commiserazione e con enorme gratitudine ed affetto per il Professor Edoardo Caleffi, direttore del Centro dei grandi ustionati dell’ospedale di Parma, nel suo libro (scritto insieme a Giusi Fasano) “Io ci sono. La mia storia di ‘non’ amore”. Inizia anche, non meno doloroso, un percorso di ricostruzione interiore, esistenziale. Che parte da un passaggio delicato ed altrettanto doloroso: l’accettazione dell’immagine di un volto nuovo, diverso, che lo specchio rimanda. Un volto che, nelle intenzioni di Luca Varani, avrebbe dovuto rimanere sfigurato, distrutto, annientato ed invece si rivela inaspettatamente bello. Grazie alle cure del Professor Caleffi ma grazie soprattutto alla luce interiore di Lucia che mai ha smesso di brillare, mai è stata offuscata, mai si è spenta. Questo volto non deve solo essere accettato: deve essere amato. Amare quel volto significa amare sè stessi. Significa aprire la strada ad una rinascita personale, significa decidere di volersi bene davvero, di rispettarsi, di non cadere più nelle trappole di amori malati.
Questo volto che Lucia ha scelto di mostrare con giustificato orgoglio si rivela così uno spartiacque tra un prima ed un dopo che nessuno, men che meno Varani, avrebbe potuto immaginare così ricco, così fecondo, così forte.
Lucia ha scelto non solo di non nascondersi, ma anche e soprattutto di esporsi in prima persona come simbolo di forza e coraggio per tutte le donne (e sono davvero tante) vittime di abusi e violenza e prigioniere di ‘non’ amori. Il 25 novembre 2013, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Lucia Annibali è stata nominata Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente Napolitano. Collabora con Io Donna/Corriere della Sera: questo il link del suo blog http://www.iodonna.it/tag/lucia-annibali/.
Luca Varani è stato riconosciuto colpevole e condannato a 20 anni di galera. Io spero che li sconti tutti fino all’ultimo minuto.
Ma spero anche che la storia di Lucia diventi per noi un esempio. Che non venga mai dimenticata e rimanga impressa nei nostri cuori allo stesso modo delle parole da lei pronunciate davanti a trecento studenti delle scuole superiori di Parma:
“Siamo chiamati a scegliere che tipo di persone vogliamo essere. E sarebbe bello se, in questo momento di follia collettiva, voi sceglieste di fare la differenza, di essere originali. Di essere gentili, affettuosi, amorevoli verso le vostre compagne. Alle ragazze auguro di essere libere, di essere voi stesse e di non lasciarci convincere che c’è qualcosa che non va in voi. Il tempo trascorso lasciando che qualcuno ci ferisca non ritorna. Ho imparato che esiste un solo tipo di amore: quello buono, che ti rende felice, che ti sprona a migliorare, che è indipendenza e libertà. Per amare nel modo giusto non bisogna avere fretta. E’ necessario conoscere prima se stessi e darsi il tempo di conoscere l’altro”.
E ancora: “Voglio ringraziare il mio volto ferito che mi ha insegnato a credere in me stessa, a fare un salto verso la persona che ho sempre desiderato essere. Oggi mi sento padrona della mia vita e dei miei sentimenti. Ho un progetto da cui ripartire per avere una vita felice. Il mio volto sono io. Parla di me, del mio dolore e della mia speranza”.
©Maria Cristina Codecasa Conti