Wilma Viganò ci accompagna alla scoperta di Milano.

C’è una parola che sta passando di moda e cui ultimamente penso spesso, quasi con nostalgia, forse perchè in giro se ne vede ben poco: questa parola è garbo. Ed è la prima parola che mi è venuta in mente quando ho iniziato ad ascoltare i racconti (o, meglio, le passeggiate) milanesi di Wilma Viganò, che nella sua rubrica “A spasso con Wilma” ci accompagna con grazia e gentilezza (il garbo, appunto) alla scoperta di Milano. Io che questa città (in cui vivo) la amo molto e che, per motivi prima di studio e poi di lavoro, ho imparato a conoscerla abbastanza bene, ascoltando queste storie ho scoperto luoghi, aneddoti e personaggi che, nella mia ignoranza, non conoscevo.

A partire proprio dalla loro ideatrice, Wilma Viganò, la quale, come ci racconta nella sua presentazione (sì, anche questo ha colpito il mio côté bon ton: raccontare ai propri ascoltatori chi siamo è un gesto che presuppone il rispetto di questi ed una grande educazione), proviene dal mondo della comunicazione ad alti livelli, quella che appartiene storicamente ad un momento unico del Made in Italy e che per molti lustri ha visto proprio Milano come sua indiscutibile capitale. In questo ambito professionale Wilma ha potuto coltivare la sua passione per la scrittura ed iniziare a conoscere una Milano insolita, nascosta, grazie anche all’aiuto del suo mentore Guido Lopez (autore di una importante guida della città, “Milano in Mano”) con il quale, come ci racconta, “ho imparato a scoprire, per conto della più grande agenzia pubblicitaria internazionale, i luoghi che potevano interpretare un prodotto e raccontarne la storia rendendolo desiderabile”.

Il progetto di questi racconti milanesi è dunque nato sulla base di una esperienza professionale ed umana, ma anche come “una pratica molto personale che unisse attività fisica (la passeggiata), mentale (ricerca, fotografia, scrittura) e scoperta di luoghi un po’ diversi da raccontare alla mia memoria e ai miei amici”. Le puntate di “A spasso con Wilma” hanno iniziato ad essere diffuse tramite newsletter, poi attraverso Facebook, Instagram ed ora anche in versione podcast sull’emittente Radio Tomoko, un progetto “inventato” dalla giornalista radiofonica Laura Invernizzi. Molto bella la scelta del nome, perchè “Tomoko” in giapponese significa “bambina che sa”, cioè persona che cerca, approfondisce e condivide.

Ho chiesto a Wilma Viganò se aveva voglia di rispondere ad alcune domande, per potere condividere e fare conoscere questo suo bellissimo contributo alla città di Milano.

In allegato a questo articolo si può trovare l’elenco delle passeggiate podcasts fatte fino ad ora. Io inizierò a pubblicarle sulla mia pagina Facebook nei prossimi giorni e sono convinta che in molti rimarranno colpiti, come me, dalle sorprese che riserva questa città.

Signora Viganò innanzitutto grazie per avere accettato di rispondere alla mie domande, la prima delle quali è molto semplice e banale: come è nata l’idea di questa sua rubrica, “A spasso con Wilma”?

Sono curiosa, mi piace viaggiare e fare “storytelling”. Qualche anno fa, dovendo fermarmi a Milano per un lungo periodo, m’è venuto in mente di miscelare questi interessi in una pratica molto personale che unisse attività fisica (la passeggiata), mentale (ricerca, fotografia, scrittura) e scoperta di luoghi un po’ diversi da raccontare alla mia memoria e ai miei amici. Poco alla volta è nato così il mio piccolo mondo di “A spasso con Wilma” che si è evoluto da newsletter a pagine Facebook, a podcast e … chissà cosa riserva il futuro!

Le sue “passeggiate” ci fanno scoprire una Milano fuori dai soliti percorsi turistici ed omologati, luoghi e storie incredibili che neanche chi, come me, ci vive da sempre conosceva. Quali sono le scoperte e le storie milanesi che più l’hanno colpita?

Tutti i luoghi hanno una storia da raccontare, piccola o grande che sia: basta osservarli in maniera diversa e andare alla ricerca di quello che possono trasmetterci. Come Ca’ Radetsky in fondo a viale Monza, dove il mitico Feldmaresciallo visse una straordinaria storia d’amore con una lavandaia di Sesto San Giovanni o l’urna che nessuno nota sull’altare maggiore di chiesa di San Sepolcro e che contiene una manciata di terra di Palestina e una ciocca dei capelli di Maria Maddalena. Pensi se l’avesse saputo Dan Brown! Ma potrei andare avanti all’infinito.

Trovo molto bella ed attuale la sua idea un turismo cittadino davvero a chilometro zero, un tipo di turismo slow, che non deve seguire programmi o scalette o nevrosi da format vacanziero. E’ bella l’idea di invitare gli ascoltatori a  scoprire i luoghi semplicemente camminando, senza fretta, passeggiando tra le vie di una città concedendosi il lusso del tempo necessario alla scoperta. Per molto tempo Milano non è stata considerata una meta turistica in senso canonico alla stregua di Roma, Venezia o Firenze. Negli ultimi anni, però, è diventata la prima città italiana per numero di visitatori. Qual è il suo appeal?

L’appeal di Milano è innanzi tutto la sua riservatezza (pensi solo ai cortili interni!) che ti permette una continua scoperta di meraviglie poco esibite. E’ inoltre encomiabile il contrasto che si crea tra il rispetto della grande tradizione storico-artistica del passato e la convivenza anche molto ardita ma di gran classe con il vivere e le strutture della vita moderna. Senza dimenticare il fatto che Milano è la più piccola delle “grandi città” del mondo, permettendoti poco spreco di tempo in trasferimenti.

Delle sue trasmissioni, oltre alla preparazione ed alla chiarezza nell’esposizione, mi colpiscono molto il garbo e l’eleganza, me lo lasci dire, tipicamente milanesi. Giorgio Armani ha sempre detto di sentirsi molto milanese nel suo modo di intendere la moda e lo stile e, non a caso, Milano è stata a lungo capitale del Made in Italy. Quali luoghi (o persone) rappresentano a suo giudizio meglio questa idea milanese di stile?

Grazie innanzi tutto dell’apprezzamento. Direi che sono due le parole che riassumono lo stile milanese: “misura” e “rigore”. E Giorgio Armani li interpreta ovviamente alla perfezione, in compagnia di tanti altri personaggi, famosi e non, che pensano, creano, lavorano, si vestono e interpretano una stile di vita, forse esteriormente poco eclatante, ma molto solido e empatico. I milanesi sono persone affidabili, anche loro, come i luoghi della città, tutti da scoprire, e che riservano straordinarie sorprese!

Lei, che ha girato il mondo, ci invita a fare un viaggio alla scoperta della propria (almeno nel mio caso) città, Milano. La cosa non è così scontata: molti di noi vivono e lavorano in un luogo per anni o decenni senza mai davvero conoscerlo. Magari passiamo tutti i giorni davanti ad una chiesa affrescata dal Bramante e non ci entriamo mai, per poi vantarci con gli amici di essere stati a Machu Picchu o alle Galapagos.  Che differenza c’è, a suo giudizio, tra un turista ed un viaggiatore?

Il viaggio è nella nostra mente e m’è sempre piaciuta la definizione che il viaggio non è una meta ma un percorso. E vorrei aggiungere il fatto che un viaggio diventa una vera esperienza solo la racconti, per te stessa e per gli altri. La narrazione (visiva, scritta o parlata) è fondamentale: altrimenti svanisce nel momento stesso in cui avviene e si perdono memorie preziose.

– Le sue passeggiate milanesi vengono trasmesse su Radio Tomoko: ci può dire qualcosa in più su questa emittente?

In effetti Radio Tomoko non è una radio, ma un progetto podcast che, volendo al suo interno sottolineare la pluralità dei programmi, ne ha preso a prestito il termine.

Il progetto è stato “inventato” da Laura Invernizzi, giornalista radiofonica di lungo corso, che intende esplorare il nuovo mondo dei podcast, già molto avanzato all’estero ma relativamente nuovo in Italia. “Tomoko” in giapponese (altro luogo di raffinato rigore) significa “bambina che sa”, cioè persona che cerca, approfondisce e condivide.

 Ascoltando la sua trasmissione ho pensato a quanto è stata ed è importante la radio come strumento di divulgazione e comunicazione. Oggi questo ruolo è stato “usurpato” dai social network: è possibile fare una buona comunicazione anche qui?

Non direi che è stato usurpato, anzi. Direi che il verbale sta diventando la terza fase della Information Techonolgy: dopo le mail e gli sms che hanno rappresentato il trionfo della parola scritta, e le immagini di Instagram, YouTube o le dirette di Facebook, si è arrivati alla terza fase, quella dell’audio. Un sms vocale è molto di personale di una mail, così come si può ascoltare un testo, un libro o una passeggiata mentre gli occhi sono altrove, mentre si guida o si fa la colazione del mattino, si cucina o si prende il sole.

Ha mai pensato di fare di questa sua rubrica anche un libro?

In effetti me l’hanno chiesto in molti e non è detto che prima o poi arrivi, anche per fare una percorso inverso a quello della tecnologia digitale. Ma direi che, a occhio, il primo passo, potrebbe essere un sito web.

Lei viene dal mondo della comunicazione ad alti livelli, cosa le ha lasciato in eredità questa esperienza e quanto ha contato nello sviluppare il suo interesse per la narrazione?

La passione per lo scrivere l’ho sempre avuta. La professione m’ha arricchita sulle tecniche della narrazione e soprattutto delle persone che ho avuto occasione di incontrare, a partire da Guido Lopez, mio primo mentore e autore di “Milano in Mano”, quella che è ancor oggi considerata la guida definitiva della città. Con lui ho imparato a scoprire, per conto della più grande agenzia pubblicitaria internazionale, i luoghi che potevano interpretare un prodotto e raccontarne la storia rendendolo desiderabile.

Che differenza c’è tra scrivere un testo per la radio e scrivere un testo destinato alla lettura?

Piccole ma fondamentali differenze. Il linguaggio della radio deve essere più immediato, più personale e più empatico. Quello scritto più curato, più approfondito e più classico.

Oggi, nella comunicazione, le immagini hanno sostituito le parole, col risultato che pochi comunicatori di professione sanno raccontare delle storie (e, a volte, pure scrivere in italiano corretto). La ridondanza delle immagini rischia di indebolire l’immaginazione, che delle storie, secondo me, è il nutrimento principale. Che requisiti bisogna avere oggi per sapere comunicare e, soprattutto, per sapere raccontare delle storie?

Come sempre del resto, bisogna aver ben presente le persone a cui si intende comunicare. Cosa e come si può sollecitare il loro interesse? Cosa li riguarda? E soprattutto: cosa li fa sognare?

– Come descriverebbe i milanesi?

Persone serie (non seriose), eleganti (in senso ampio di armoniose), simpatiche (di un’ironia sottile) e aperte alla scoperta del nuovo. Come si dice oggi: persone avanti!

C’è un episodio od una storia che, secondo lei, racconta o rappresenta bene lo spirito di Milano?

Sono tante le storie da raccontare, come quella che ho raccontato un paio di settimane fa del Refettorio Ambrosiano, un ex teatro disastrato di periferia trasformato da volontari in raffinatissimo centro di assistenza, inclusione e cultura ai massimi livelli.

Dove potrebbe o dovrebbe migliorare Milano?

Dovrebbe abbassare un poco (non tanto sia chiaro!) la frenesia; essere meno centrocratica (le periferie saranno le destinazioni delle mie future esplorazioni) e reinventare lo spirito degli antichi borghi (vita di quartiere, piccoli negozi e spirito solidale).

Ha dei bei libri su Milano e la sua storia da consigliarci?

A parte il già citato “Milano in Mano” di Guido Lopez, c’è per fortuna un fiorire di testi su Milano tra cui si può scegliere secondo dei propri interessi. Tra i miei preferiti, cito “Milano insolita e segreta” di Massimo Polidoro e “Milano nascosta” di Manuela Alessandra Filippi. La scorsa settimana io mi sono regalata “Le chiese di Milano” di Carlo Ponzoni nell’edizione del 1930. Interessantissimo!

Una domanda, visti i tempi, inevitabile: come vede Milano, la nostra città, dopo questa pandemia? E cosa ricorderà di questa città durante il lockdown? Io, per esempio, mi ricorderò sempre la giornata del 25 aprile in una via del centro: nel silenzio più assoluto, un pianoforte che suonava le musiche di Gaber e Jannacci, tutte le finestre ed i balconi spalancati con la gente fuori ad ascoltare, poi gli applausi e le lacrime e le bandiere tricolore, tante, che sventolavano alla luce del tramonto.

Purtroppo ricorderò sempre il suono delle ambulanze nella notte, ma auguro a tutti i milanesi una sempre maggiore consapevolezza di come siamo fortunati di vivere in questa straordinaria città.

E vediamo di meritarcela!

Milano, 22 giugno 2020

(c) Maria Cristina Codecasa Conti

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Wilma Viganò

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