Mirella Borgocroce, scrittrice

Mirella Borgocroce insegna lettere in una scuola secondaria, è stata tastierista ed autrice musicale del gruppo Pale Tv, una band della prima new wave italiana anni ’80 collegata alla Italian Records, pratica il Buddismo della scuola di Nichiren Daishonin. E’ sposata, con figli. E’ nata con un dono importante: l’uso sapiente delle parole, grazie alle quali è riuscita a raccontare la storia di suo figlio Rocco, della sua malattia e del lungo viaggio che ha portato alla sua guarigione. Questa storia è diventata un libro, “Il ragazzo fortissimo” (Sonzogno Editore), che Mirella presenterà sabato 29 febbraio 2020 alle ore 19:00 all’Orto, in via Solferino 46/d a Brescia. Sono onorata che abbia accettato di rispondere ad alcune mie domande, che condivido con la certezza che possano arrivare al cuore ed essere di conforto a tutti coloro che si trovano o si sono trovati in quell’altrove così buio eppure fecondo che è la malattia.

1 La tua storia è anche la storia di come alcuni eventi abbiano il potere di segnare un’ evidente linea di confine nella nostra vita tra un prima ed un dopo. Che ricordi hai del tuo prima?

Devo ammettere che il mio “prima” non era tanto diverso dal “dopo” che è arrivato in quanto, per vissuto personale, ho sempre avuto molto chiaro in mente che la vita è precaria, con tutto il turbamento che può derivare da questo pensiero. Quello che è cambiato, perciò, non riguarda tanto le conseguenze dell’incontro con la morte e la malattia, quanto la mia determinazione, l’impegno che ne è derivato: è nato un forte desiderio di contribuire in qualche modo, di rendermi utile per chi soffre.

2 Nelle famiglie, nelle coppie, nelle amicizie il dolore può unire ma può anche essere un elemento fortemente divisivo, lacerante: nel tuo caso cosa tu/vi ha insegnato questa esperienza?

Sono d’accordo: il dolore è una prova gigantesca da affrontare ed è raro che le persone che si trovano a vivere insieme la stessa esperienza siano in sintonia sulle soluzioni o sui sentimenti. Diciamo che è una prova nella prova e che rimanere uniti richiede un grande sforzo delle parti in causa. Noi, in famiglia, ci siamo sforzati di andare nella stessa direzione, a partire dalle decisioni sulle cure per arrivare all’aspetto spirituale. Questo, di sicuro, ci ha reso più forti.

3 Il mondo intorno: pensi che quello che è accaduto a Rocco abbia condizionato il tuo modo di stare con gli altri? Ti ha reso più sensibile, più intollerante?

Credo di essere diventata più empatica: soffro con chi si trova in difficoltà e sono felice di ricevere buone notizie di altri come fossero per me.

4 Le vicissitudini della vita vanno non solo affrontate ma anche, io mi immagino sempre, attraversate come se fossero deserto, fiume, foresta inesplorati, pericolosi, terrifici ma anche riserve di grandi tesori: chi ti ha tenuto per mano durante questo percorso?

Mi hanno tenuto la mano molte più persone di quelle che avrei mai potuto immaginare. Sono emerse dal buio e hanno illuminato la strada. Ho sentito forte, per la prima volte, il senso di appartenenza alla comunità. E, infine, mi ha accompagnata la fede. Comunque, come dici tu, le vicissitudini vanno attraversate nonostante possano ferire. Evitarle, o tentare di farlo anestetizzandosi con passatempi futili, non porta altro risultato se non quello di ritrovarsele dietro l’angolo, quando ci si illudeva di averle scansate. Senza attraversare questo territorio inesplorato non si riesce a dare alcun senso alla sofferenza che ci tocca.

5 Dopo esperienze come questa, che rapporto si ha con la leggerezza?

La leggerezza è una condizione meravigliosa nella quale immergersi periodicamente, ogni volta che si può. Anche nei momenti più bui l’ho ricercata in un viaggio, un piccolo regalo, una pizza in compagnia di amici, un film comico. Bisogna continuare a ridere e gioire cercando le occasioni per farlo. Il nostro aspetto sorridente modifica tutti gli altri fattori della vita, che sono coerenti e si influenzano tra loro.

6 La malattia insegna il valore della condivisione, del sostegno, della solidarietà. In questo senso ed anche nei casi più dolorosi, spesso si riesce a gettare dei semi da cui nascono fiori, piante, profumi, colori. E’ accaduto anche a te? Quali semi hai gettato?

Ho gettato molti semi e fatto in modo di rendere significativo questo periodo difficile, ad esempio sostenendo a mia volta chi soffre. Credo che il seme più bello sia stato decidere di scrivere un libro su questa esperienza e su quale valore ho deciso di attribuirle. Un valore molto alto, perché nessun istante della sofferenza vissuta da mio figlio rimanesse senza significato. Il resto – la pubblicazione – è venuto da sé, come conseguenza di una forte determinazione partita dal cuore.

7 Le parole curano, sostiene il grande psichiatra Eugenio Borgna. Tu hai il dono di un uso profondo e sapiente delle parole e, nel tuo caso, si può davvero riconoscere (e, come lettore, beneficiare) il  potere curativo delle parole. Quando ti sei resa conto di avere questo dono?

Sono un’insegnante di Lettere e sono abituata a rivolgermi ai miei studenti parlando in modo che tutti mi comprendano. Durante la malattia, però, la meditazione prolungata ha aperto dentro di me varchi che mi hanno dato accesso alla profondità del mio essere. Qui dentro ho scoperto capacità che non sapevo di avere, come il coraggio o la bella scrittura. Pensa che, a volte, mi svegliavo la notte con un’intera frase già costruita nel sonno e dovevo accendere la luce per appuntarla subito, prima che svanisse. Ho girato mesi in compagnia di un quadernetto e una penna per annotare ogni riflessione emergesse alla coscienza in modo improvviso. Molte parti del libro si sono scritte da sole, in questo modo spontaneo.

8 Quando ti sei avvicinata al buddismo, e perché?

Sono diventata buddista a ventisei anni, nel periodo di lutto per la morte di mia madre, che non riuscivo ad accettare nonostante fossero già trascorsi due anni dall’evento. Il Buddismo è stato il mezzo per riuscirci in fretta e da allora l’ho sperimentato in ogni campo della mia vita: amore, lavoro, amicizie. Praticare il Buddismo della scuola di Nichiren Daishonin è stata per me una scoperta continua, un percorso davvero meraviglioso e arricchente.

9 Pregare, meditare, tu parli spesso di una pratica quotidiana che è stata ed è per te non tanto e solo un esercizio di meditazione od un rituale ma un vero e proprio elemento di quotidiana salvezza: la fede è una grazia o una conquista?

La fede è una conquista, è il risultato di una ricerca interiore fatta di preghiera, studio, riflessione, azioni concrete. Una fede che non sia messa alla prova da questi elementi per me non ha le caratteristiche di una fede, quanto piuttosto di credulità.

10 Hai a lungo lavorato nel mondo musicale scrivendo musica ed incidendo dischi: non pensi che tra la musica e la preghiera ci sia una grande affinità?

Ne sono convinta. Il processo creativo assomiglia moltissimo alla meditazione. Bisogna riuscire a oltrepassare gli schemi rigidi imposti dalla nostra mente razionale per lasciarsi cadere in luoghi psichici sconosciuti, dove attingere alla nostra natura profonda che è in connessione con l’universale. Per me l’atto artistico è un riconnettersi, fare da tramite, offrire i nostri talenti per metterci al servizio e tradurre in musica, scrittura, pittura, ma anche pasticceria, ricamo o ogni altra espressione creativa, qualcosa che non è nostro, ma appartiene a tutta l’umanità e ad essa ritorna tradotta in opera d’arte.

11 Il concetto di karma torna spesso nelle tue parole e nella tua esperienza, tu parli della necessità di liberare se stessi da una sorte, da un destino che si ripete di generazione e generazione, partendo proprio dalla sofferenza che diventa una occasione di rinascita, di trasformazione. Perché, mediamente, per ciascuno di noi è così difficile? Perché restiamo a lungo se non tutta la vita bloccati o prigionieri? Al di là della sofferenza e della malattia, su cosa dobbiamo focalizzarci e lavorare?

Per trasformare il proprio karma bisogna prima di tutto desiderarlo con forza. Il karma è il risultato delle nostre azioni passate, che comprendono pure le parole e i pensieri formulati. Un karma positivo è frutto di azioni positive, un karma negativo, al contrario, è frutto di azioni negative, che possono risalire anche a vite precedenti delle quali non abbiamo memoria. La Legge di causa ed effetto agisce su tutto. Si parla di catene del karma per spiegare i motivi per i quali è così difficile uscire dal percorso già tracciato. Faccio un esempio: mi tocca subire un torto, una cattiveria. Reagisco a questa cosa vendicandomi della persona che me lo ha fatto e, in questo modo, metto anch’io una causa negativa che, a sua volta, produrrà un effetto negativo sotto forma di una nuova sofferenza. Poi tutto il ciclo ricomincia. Così non se ne esce. Bisogna invece spezzare questa catena e reagire alla sofferenza sforzandosi di compiere azioni positive. È faticoso, a volte doloroso. Bisogna focalizzarsi sulle proprie azioni e in questo la preghiera è fondamentale, in quanto può essere un fattore di cambiamento interiore molto potente. Una preghiera consapevole dei processi della coscienza, però: non la supplica di intercessione senza sforzi personali.

12 La fatica dello stare nel qui e ora, di vivere il presente, è a mio giudizio una delle fonti di maggiore frustrazione ed infelicità. Ci si fossilizza su un passato che non possiamo più cambiare, si preferisce sperare ed immaginare un futuro che ci risarcisca delle aspettative più o meno deluse, dimenticandoci che il cambiamento non può che iniziare adesso, ora (come dice anche una bellissima canzone di Jovanotti). Perché secondo te siamo tutti un po’ vittime di questo incantesimo?

Credo che ognuno di noi fatichi ad accettare l’impermanenza della vita. Questo ci porta ad aggrapparci ad un passato che conosciamo e ci dà sicurezza, anche quando ci ha fatto soffrire. Questo ci porta anche ad avere paura del futuro o a trasferire lì ogni aspettativa, ottimista o pessimista. Molto difficile è riuscire a considerare l’attimo presente come l’unico reale: infatti il passato non esiste più e il futuro non esiste ancora. A rifletterci l’unica cosa certa è l’attimo che stiamo vivendo, che poi è la nostra vita stessa, tutto ciò che abbiamo. Aggiungo poi che è un’illusione ritenere che saremo felici quando avremo qualcosa che ora ci manca: più soldi, una casa, un lavoro, un fidanzato. La felicità non si trova da nessun’altra parte se non dentro di noi e va cercata qui, dove siamo ora.

13 Sul tuo profili Facebook scrivi sempre delle cose bellissime, uno dei rari esempi di comunicazione social garbata, profonda, sensata. Che rapporto hai con i social media?

Ho aperto un profilo Facebook nel momento in cui mi sono resa conto di voler fortemente condividere l’ esperienza della malattia di Rocco e di non avere gli strumenti per farlo. Mi sono detta: come posso raggiungere le persone? In quel momento, nel qui e ora di quel preciso momento, dovevo usare ciò che avevo a disposizione, e non era una casa editrice. Ho pensato che sarebbe andato bene anche Facebook. Qualche settimana dopo Giulio Mozzi, editor di Marsilio e docente di scrittura creativa, ha letto i miei post e mi ha proposto di raccontare in un libro come già stavo facendo sui Social. E allora ecco quello che penso: niente ha di per sé una valenza positiva o negativa, siamo noi ad attribuirgli un valore in base all’utilizzo che ne facciamo. Questo vale anche per i Social media.

14 Racconti la storia di tuo figlio con grazia, lucidità, coraggio. Nel libro dici che nella vita è a volte necessario scegliere una azione forte e portarla a compimento: nel tuo caso, la scelta è stata raccontare la malattia di Rocco. Ma ora, hai voglia di continuare a raccontare delle storie visto che lo sai fare così bene? Hai in progetto un altro libro?

L’esperienza, come dicevo prima, ha prodotto semi che hanno fatto germogliare anche molte cose belle, per quanto possa sembrare stano. Una di queste cose belle è stato scoprire che mi piace molto scrivere, che ha per me – e credo per tutti – una funzione terapeutica in grado di guarire le ferite, di elaborare le esperienze, di riguardarle sotto una luce nuova data dal tempo che ci separa da queste. Ho deciso, quindi, di continuare e al momento ho iniziato un libro non autobiografico, che racconta di legami ed emozioni, il campo che mi interessa di più.

15 Ho iniziato questa intervista chiedendoti che ricordi avevi del tuo prima e la concludo così: dove si trova Mirella, adesso?

Mirella si trova in una fase in cui rifiuta di vivere ansiosamente appesa ai controlli di follow up quadrimestrali e desidera invece riempire la vita di nuove esperienze, come la scrittura o i viaggi. Ho sempre pensato a me come a una persona eclettica, in grado di occuparmi di cose diverse in campi diversi e ora ho voglia di sperimentarmi in qualcosa di nuovo.

©Maria Cristina Codecasa Conti

Per seguire Mirella Borgocroce:
Facebook https://www.facebook.com/profile.php?id=100015641264120
Instagram https://www.instagram.com/mirellaborgocroce/?hl=it

Mirella Borgocroce, “Il ragazzo fortissimo” (Sonzogno Editore)
sabato 29 febbraio 2020 alle ore 19:00 all’Orto, in via Solferino 46/d a Brescia
per informazioni tel. +39 030 7827968 e info@tamanditakagi.it
Pagina evento https://www.facebook.com/events/2587289501487616/